Bracci: La ricerca dell’essere senza essere
Alvaro Bracci di storie ne ha tante da raccontare. Storie che sono gocce di aneddoti che porge con leggerezza e acume, trasportando chi ascolta nel suo elemento dove arte e vita sono congiunti indissolubilmente. Ha da poco vinto il premio Nacional de Cultura “Francisco Amighetti” nella categoria Arti visive bidimensionali con l’opera “Eva” presentata l’anno passato nel museo storico “Juan Santamaría”. Un traguardo speciale, che lo annovera come l’unico italiano a essere stato insignito di questo prestigioso riconoscimento. Siamo andati a trovarlo nella sua casa di Barrio Cristal, che è casa studio e museo allo stesso tempo, per parlare della sua lunga traiettoria artistica. Una conversazione che ci ha portati indietro nel tempo e che ci ha fatto ripercorrere i momenti salienti dell’ultimo mezzo secolo dell’arte in Costa Rica, paese dove Bracci è arrivato nel 1970.
Nato a Roma nel 1948, ha respirato nella sua adolescenza l’atmosfera unica di quella meravigliosa città sommersa nell’incantesimo della dolce vita di felliniana memoria. Una città che ha imparato a conoscere a memoria camminando per le sue vie e le sue piazze, in un’Italia giovane che rinasceva dalle macerie della Seconda guerra mondiale.
“Andavo in bicicletta per ore, scoprivo la città pedalando sotto il sole, sudato e assetato. Entravo a San Giovanni Laterano per riposare e prendere il fresco, un’oasi di pace, non c’era nessuno a quel tempo, i turisti si vedevano una volta ogni sei mesi. Uno veniva sopraffatto da quell’atmosfera: i mosaici del pavimento, le figure enormi delle statue, l’imponente soffitto. Si respirava l’arte”.
A stonare in quell’ambiente è però il lusso dell’alto clero romano, un pugno nell’occhio per chi, come Bracci, ha sempre creduto nella solidarietà e nel valore di una chiesa per i poveri. All’affacciarsi dell’età delle responsabilità, Bracci vive l’esperienza di un primo soggiorno in Australia e quindi di quello definitivo in Costa Rica. L’incontro con il paese centroamericano è decisivo, d’impatto: si respira innocenza, i panorami sono mozzafiato, la natura è imponente e la gente ospitale. Bracci, dopo le prime esperienze, comincia a creare ed entra in contatto con l’ambiente artistico locale. Fa subito il botto, perché diventa parte attiva del gruppo artistico La Cofradía.
“Sono entrato facilmente nel mondo artistico. Con Rafa Fernández eravamo molto amici, ci riunivamo spesso e si faceva mattina conversando di arte. A volte, si finiva giocando al churuco. Nel gruppo c’erano, tra gli altri, anche Edwin Cantillo, Mariano Prado. Si lavorava in un contesto intellettuale solido. Successivamente creammo il gruppo Convergencia, da cui sono sorte altre personalità dell’arte costaricense, come Rolando Cubero, Mario Madrigal, Miguel Hernández. Poi venne l’epoca dell’APEC, l’associazione di pittori e scultori. Per sovvenzionarci vendevamo collezioni: ognuno apportava una piccola opera e si creava così una raccolta che con il tempo avrebbe acquistato un notevole valore per chi l’avesse comperata”.
Intanto, le suggestioni non mancavano. Il Centroamerica era un calderone di avvenimenti, spesso tragici, dove si scrivevano pagine di Storia destinate a influenzare anche il rapporto con l’arte. Impossibile restarne fuori, soprattutto per Bracci.
“Ho sempre cercato di creare opere che fossero critiche del sistema. Ho partecipato attivamente alla rivoluzione in Nicaragua e ancora oggi ho una sensibilità sociale che mi obbliga a dare alla mia opera un riscontro critico. A livello di mercato questa scelta mi ha dato dei problemi, ma non per questo mi ha impedito di farmi conoscere”.
Una posizione politica che, però, non gli ha precluso di esprimere nella sua opera anche un profondo senso religioso. Un risultato questo che proviene dalla sua formazione da seminarista –tre anni nel Pontificio Seminario Romano Minore-, una scelta giovanile dovuta, come dice “più per sensibilità sociale che per ragioni di fede. Da ragazzo volevo aiutare le persone, avrei voluto fare il missionario”. Da lì, come dicevamo prima, complice la disillusione provocata dalle ricchezze ostentate dall’alto clero, il passaggio all’Istituto Tecnico Galilei dove ottiene il diploma in ingegneria meccanica. A questo punto, religione e tecnologia si mischiano e diventano, nel Bracci artista, due proprietà indissolubili che rendono il suo sigillo riconoscibile ovunque. Anche negli studi, dove la dualità lo porta a ottenere la laurea breve in Filosofia alla Uaca. La caratteristica principale di Bracci è proprio questa. A differenza di tanti artisti che seguono mode e tendenze, ha sempre mantenuto un riconoscibile marchio d’autore.
“La mia opera è molto razionale, non è viscerale. Quando creo rifletto moltissimo, fino a risolvere, con un movimento geometrico di qualsiasi tipo, il problema. Il mio linguaggio è stato fin dal principio riconoscibile; è maturato con il tempo, certo, ma ricordiamoci che alla fine siamo avvolti in un eterno ritorno. La forza espressiva degli inizi rimane, ma arricchita da ciò che la maturità offre. Oggi, per esempio, inizio un’opera con più decisione, so già dove voglio arrivare, cosa voglio dimostrare”.
Mezzo secolo in Costa Rica da protagonista, con alcune mostre diventate memorabili come la prima avvenuta nel 1979 nella galleria “La Vivienda” dell’Avenida Segunda (“bastò la prima giornata per vendere tutti i quadri”, ricorda divertito) o quella restrospettiva del 2018, nel Museo de Arte Costarricense, summa del suo lavoro. Nel 2021, la consacrazione con l’esposizione “Eva”, che gli vale il premio nazionale “Francisco Amighetti”. Attorno a sè, intanto, il paese ha conosciuto grandi cambiamenti e anche l’arte non è stata immune da trasformazioni. Forse, segno dei tempi, si è adeguata a un certo establishment.
“L’arte in Costa Rica ha avuto un’evoluzione evidente. Il mondo cambia, il linguaggio cambia e quindi l’artista si deve adattare. Molte volte, dato l’isolamento del Costa Rica e la mancanza di possibilità per la limitazione del mercato e delle gallerie, l’artista è quasi obbligato a cadere nella compiacenza per poter sopravvivere. Io ho sempre cercato di non dipendere da questo fattore e di fare quello che volevo”.
Il futuro è dietro la porta, quali sono i progetti di Bracci?
“Le cose appaiono. Mi chiamano e io vado. Un artista non va in pensione, non chiude la saracinesca, finché il fisico lo permette. A me piacerebbe presentare la mia opera religiosa in Italia, a Roma. Sarebbe molto bello, ma i problemi sono molti”.
La nostra Dante Alighieri, intanto, è parte del presente di Alvaro Bracci. Il suo Dante alla ricerca di Beatrice spicca nel logo scelto dall’associazione per commemorare i 90 anni di vita della scuola in Costa Rica. Una collaborazione d’eccellenza, di cui non possiamo che esserne fieri.
Maurizio Campisi.