MONTEROSSO ED EUGENIO MONTALE

La cittadina di Monterosso, la più occidentale delle Cinque Terre, è stato il luogo prediletto di uno dei più grandi poeti italiani, Eugenio Montale a cui venne assegnato nel 1975 il premio Nobel per la letteratura. Montale (Genova 1896 - Milano 1981) fu il principale rappresentante della poesia ermetica: la sua poetica è contrassegnata dal dubbio, dall’incapacità di cogliere il senso profondo dell’esistenza, con versi di difficile interpretazione. La vita del poeta è contrassegnata dalla relazione con il piccolo borgo di Monterosso al Mare, dove la famiglia possedeva una villa. La casa esiste ancora oggi, anche se ha cambiato proprietari. Nel ricordo del poeta, Monterosso ha creato un Parco letterario. Tra il mare, gli scogli e gli orti terrazzati (i cosiddetti cian) Montale scrisse alcune delle sue poesie tra cui I Limoni, La casa dei doganieri, Punta del Mesco. Questo paesaggio, con le case aggrappate alla roccia, è stato dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1997 ed è tutelato dal Parco Nazionale delle Cinque Terre. Purtroppo le terrazze, frutto dell’ingegno e del lavoro faticoso dei contadini, ora sono quasi abbandonate.

Monterosso, come dicevamo, è il primo paese che si trova a Levante, fra la punta di Mesco e l’isola del Tinetto. Ci si può arrivare in treno e, sempre in treno, si possono visitare tutti borghi delle Cinque Terre. Chi ama camminare può partire da qui per seguire uno dei percorsi costieri più suggestivi: il Sentiero Azzurro. Una gita all’insegna dei ritmi lenti sul mare a strapiombo, in cui i paesi appaiono all’improvviso tra muri a secco, vigne ordinate come alveari e orti quasi sospesi sul vuoto. Da Monterosso a Riomaggiore è tutto un susseguirsi di salite, gradinate e discese.

Nonostante le difficili condizioni, queste terre sono state abitate fin dall’antichità: Monterosso è citato in un documento del 1056 e, nei secoli, tutti i borghi delle Cinque Terre sono stati contesi tra Pisa e Genova, con quest’ultima che ha avuto la meglio intorno al 1254. Parte dell’antico sistema difensivo di Monterosso, contro le frequenti incursioni saracene, ha resistito al tempo e alla salsedine: le mura della cittadella, per esempio, i resti del castello e la maestosa Torre Aurora sul promontorio del Colle di san Cristoforo. La torre venne costruita dai Genovesi nel Cinquecento e ora divide la parte vecchia del paese da quella nuova. Da visitare, ancora nel centro storico, la chiesa di San Giovanni Battista, costruita attorno al 1220 in stile gotico-genovese e il Convento dei Cappuccini del 1600.

Colori, scorci e immagini di Monterosso sono presenti nelle poesie di Montale, che passò varie estati nella villa dei genitori (che lui chiamava Pagoda giallognola o villa delle due palme). Montale ammise l’importanza di quel periodo: “Quella di Monterosso è stata una stagione molto formativa, però ha anche costituito l’avvio all’introversione, ha portato ad un imprigionamento nel cosmo”. Ed, infatti, Eugenio Montale non è di certo un osservatore usuale. Non ci si può aspettare una poesia che si limita semplicemente a celebrare paesaggi e sentimenti. I suoi sono versi forti e vibranti, in cui i luoghi e le persone sono filtrati dall’io del poeta che li interiorizza profondamente. Nella poesia di Montale le Cinque Terre devono essere scoperte, così come devono essere scoperte le emozioni che l’autore ci trasmette, osservando ed ammirando lo spettacolo naturale. La scoperta diventa più semplice, immergendosi nel paesaggio, in cui egli ha vissuto. Proponiamo una di queste poesie in cui si respira l’atmosfera della Cinque Terre, “Meriggiare pallido e assorto”, tratta dalla raccolta “Ossi di seppia” del 1925 che ha appunto Monterosso e il suo paesaggio come sfondo. Fate attenzione al linguaggio, molto ricercato soprattutto nella scelta dei termini e ricco sia di immagini figurate (“il palpitare lontano di scaglie di mare”) e di assonanza tra parole e i rumori della natura (schiocchi, frusci, scricchi).

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d'orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia (1)
spiar le file di rosse formiche
ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
a sommo di minuscole biche (2).

Osservare tra frondi (3) il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi (4)
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com'è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

1)    Pianta erbacea; 2) covoni di fieno; 3) rami; 4) rumore secco

Anterior
Anterior

I LUOGHI DEL CUORE

Siguiente
Siguiente

XXII SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA: L’ITALIANO E I GIOVANI