PINOCCHIO COMPIE 140 ANNI

di Maurizio Campisi

Era il gennaio 1883, centoquaranta anni fa, quando si pubblicò su “Il giornale dei bambini” l’ultima puntata di “La storia di un burattino”. Visto il successo ottenuto, quasi subito il suo autore procedette a darlo alle stampe in volume con il titolo “Le avventure di Pinocchio”. Carlo Collodi, l’autore appunto, aveva ottenuto un discreto successo con quella storia ed era intenzionato a trarne i maggiori benefici.  

A quell’epoca Collodi era già un affermato giornalista e scrittore di 55 anni. Patriota convinto, aveva combattuto nelle prime due guerre d’indipendenza e aveva pubblicato una quindicina di testi destinati sia al pubblico adulto che ai più piccoli. Nato nel seno di una famiglia modesta (i suoi erano impiegati nel podere della ricca famiglia Garzoni, il papà cuoco e la mamma domestica), lo scrittore attinse a piene mani dalla natura e dall’ambiente della sua infanzia per la stesura di “Pinocchio”. La tenuta Garzoni si trova a Pescia, nella frazione Collodi, nome che Carlo Lorenzini (questo il suo vero cognome) userà come pseudonimo in onore alla madre che lì vi era nata.

"C’era una volta…- Un re!diranno subito i miei piccoli lettori.- No ragazzi avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d’inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze. Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un falegname…”.

Queste sono le battute d’inizio di “Le avventure di Pinocchio” e, probabilmente Collodi nel redigerle, non si sarebbe mai immaginato di aver creato un testo universale. La storia del burattino di legno è infatti, dopo la Bibbia ed il Corano, il titolo ancora oggi più diffuso nel mondo: si contano oltre duecentoquaranta traduzioni in lingue diverse e incalcolabile è il numero di edizioni e ristampe pubblicate dal 1883, anno della sua prima pubblicazione su volume a oggi.

La genesi del testo è stata tormentata. Il racconto originale del 1881 (dal titolo “Storia di un burattino”) finì dopo solo quindici puntate, con Pinocchio impiccato a un ramo di quercia dal Gatto e la Volpe. La morale dell’epoca suggeriva il castigo per i bambini che si comportavano male. Pinocchio era disobbediente, in qualche maniera doveva pagare. Questo brusco epilogo scatenò la furia dei giovani lettori e tanto numerose furono le lettere di protesta che a novembre di quello stesso anno la storia ricominciò, questa volta col titolo “Le avventure di Pinocchio”. Il lavoro però non fu agevole e si dovette attendere due anni per conoscerne la fine: nel gennaio 1883, alla definitiva conclusione del racconto, il burattino di legno diventa finalmente un bambino in carne e ossa con l’epilogo che tutti conosciamo.

Uscito dalle pagine del racconto a puntate, tre settimane più tardi Pinocchio è già libro: lo pubblica, con le illustrazioni di Enrico Mazzanti, l'editore fiorentino Felice Paggi. Da quel momento è un continuo susseguirsi di nuove edizioni, ciascuna illustrata dai migliori illustratori dell’epoca. Nel mondo della narrativa per l’infanzia infatti le immagini devono riuscire, da sole, a raccontare una storia con emozione. Con il tempo le illustrazioni acquistano un grande valore per il mercato dei collezionisti. Solo per dare qualche indicazione, oggi sul mercato antiquario, la prima edizione Paggi, praticamente introvabile, ha una quotazione che si aggira attorno ai 7.500 euro, mentre la nota edizione illustrata da Attilio Mussino per Bemporad, del 1910, ha un valore di circa 700 Euro.

Benché sia stato scritto nel 1881, il romanzo è ambientato nel passato, presumibilmente all'epoca del Granducato di Toscana o all'indomani dell'Unità d'Italia, come si può notare anche dai riferimenti ai quattrini e agli zecchini d’oro che vengono citati nella storia, ma con la presenza dei Reali Carabinieri, corpo armato introdotto con il Regno. I riferimenti geografici sono ancora oggi identificabili. La parte del racconto in cui Pinocchio viene impiccato dagli assassini alla Grande Quercia è ambientata a pochi chilometri da Pescia, nei pressi della località di Gragnano. L'albero descritto da Collodi esiste ancora in quella zona ed è chiamato la Quercia delle Streghe. Lorenzini si ispirò invece alla località di Osmannoro, nei pressi di Firenze, per dare vita al Paese dei Balocchi (la fiera di questo paesino), l’Osteria del Gambero Rosso e la bambina bionda che, nel suo immaginario, sarebbe diventata la Fata Turchina.

“Le avventure di Pinocchio” decretano il successo definitivo di Carlo Collodi. Non potrà però goderne a lungo gli affetti. La sera del 26 ottobre 1890, mentre sta rincasando nella sua casa di Firenze, facendo le scale si sente male. Sviene e non riprende più conoscenza, morendo poco dopo probabilmente per un aneurisma. Il fratello Paolo, direttore della famosa ditta Ginori, venuto in possesso della sua eredità scopre centinaia di lettere che lo scrittore ha scritto e ricevuto da dive e donne dell’alta società. Scapolo impenitente, Collodi aveva fama in vita di essere, come si diceva all’epoca, un tombeur de femmes. Per evitare lo scandalo Paolo Lorenzini le brucia tutte, mantenendo immacolata la figura dell’autore dedicato all’infanzia.

Qui di seguito, l’epilogo dell’edizione originale, con la descrizione della morte di Pinocchio:

Pinocchio sentì afferrarsi per il collo, e le solite due vociacce gli brontolarono minacciosamente:

— Ora non ci scappi più!-.

Il burattino, vedendosi balenare la morte dinanzi agli occhi, fu preso da un tremito così forte, che nel tremare, gli sonavano le giunture delle sue gambe di legno e i quattro zecchini che teneva nascosti sotto la lingua.

— Dunque? — gli domandarono gli assassini — vuoi aprirla la bocca, sì o no? Ah! non rispondi?… Lascia fare: che questa volta te la faremo aprir noi!… —

E cavati fuori due coltellacci lunghi lunghi e affilati come rasoi, zaff e zaff… gli affibbiarono due colpi nel mezzo alle reni.

Ma il burattino per sua fortuna era fatto d’un legno durissimo, motivo per cui le lame, spezzandosi, andarono in mille schegge e gli assassini rimasero col manico dei coltelli in mano, a guardarsi in faccia.

— Ho capito; — disse allora uno di loro — bisogna impiccarlo. Impicchiamolo!

— Impicchiamolo — ripetè l’altro.

Detto fatto gli legarono le mani dietro le spalle, e passatogli un nodo scorsoio intorno alla gola, lo attaccarono penzoloni al ramo di una grossa pianta detta la Quercia grande. Poi si posero là, seduti sull’erba, aspettando che il burattino facesse l’ultimo sgambetto: ma il burattino, dopo tre ore, aveva sempre gli occhi aperti, la bocca chiusa e sgambettava più che mai. Annoiati finalmente di aspettare, si voltarono a Pinocchio e gli dissero sghignazzando:

— Addio a domani. Quando domani torneremo qui, si spera che ci farai la garbatezza di farti trovare bell’e morto e con la bocca spalancata.―....

A poco a poco gli occhi gli si appannavano; e sebbene sentisse avvicinarsi la morte, pure sperava che da un momento all’altro sarebbe capitata qualche anima pietosa a dargli aiuto. Ma quando, aspetta aspetta vide che non compariva nessuno, ma proprio nessuno, allora gli tornò in mente il suo povero babbo e balbettò quasi moribondo: -Oh babbo mio! Se tu fossi qui!-.

E non ebbe fiato per dir altro. Chiuse gli occhi, aprì la bocca, stirò le gambe e, dato un grande scrollone, rimase lì come intirizzito.

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